“Yomeddine”: emozioni egiziane al Festival di Cannes

Le prime emozioni del concorso del 71° Festival di Cannes le porta l’egiziano “Yomeddine” di A.B. Shawky. Un’opera prima dalla quale è difficile non farsi toccare e che raggiunge il cuore. Beshay è un lebbroso di religione copta che vive da sempre all’istituto e si guadagna da vivere cercando tra i rifiuti della montagna dei rifiuti. Alla morte della moglie Ireny, che era stata ricoverata per problemi psichiatrici, scopre di poter risalire all’origine della sua famiglia che non ha mai conosciuto. Così decide di partire verso sud, verso la città di Qena, con un carretto trainato dall’asino Harby, accompagnato da un ragazzino orfano soprannominato “Obama” (perché somiglia “a quello della tv”). Entrambi sono reietti della società, alla ricerca delle loro origini. Dalla sorpresa nel trovarsi davanti alle piramidi e la meraviglia per cotale bellezza, alle tante difficoltà da affrontare nel viaggio. Tra queste la morte dell’asino, ma anche la diffidenza e il rifiuto che si trova di fronte. “Sono un essere umano” griderà Beshay agli altri passeggeri sul treno per difendere la propria dignità e i propri diritti. Un road-movie toccante a tappe, una favola per vincere i pregiudizi. Molto bello l’incontro con altri disabili e malati, prima rivali per un posto dove fare l’elemosina lungo la strada, poi solidali. Un film dalla struttura lineare, trascinato da una musica ritmata e travolgente, che aderisce ai suoi eroi registrandone urgenze, tentativi di riscatto e slanci vitali. Una bella notizia dal cinema egiziano, un film d’impatto, non si può non amarlo.
Arriva dall’Africa anche “Rafiki”, della regista kenyana Wanuri Kahiu, collocato in Un certain regard. È tempo di elezioni e le figlie di due candidati si incontrano e si innamorano. Kena è decisa e piena di vita, vive con la madre e aiuta il padre negoziante che sta per avere un figlio da un’altra donna. Ziki è più superficiale e si aggira per il quartiere con un gruppo di amiche. La loro relazione, sempre più evidente, provocherà una reazione, prima della ristoratrice pettegola, poi dei giovani uomini. Le ragazze parlano di sogni e speranze, di cos’è tipico kenyano e cosa no, ma si devono scontrare con il maschilismo e il sessismo. Bella la scena della partita di calcio alla quale vogliono partecipare anche le femmine, suscitando le prime reazioni contrarie. E molto orecchiabili le due canzoni di Njoki Karu della colonna sonora. Un film simpatico, anche se la sua provenienza gli regala mezzo punto in più e lo rende più originale di quanto non sia lo spunto di partenza.
Fuori concorso, come proiezione di mezzanotte, è passato “Arctic” dell’esordiente brasiliano Joe Penna. Un dramma dell’estremo nord quasi senza dialoghi, Mads Mikkelsen carismatico quasi sempre in scena. Un pilota danese di una ditta di trasporti polari è isolato in Islanda, con il veivolo fuori uso. Scrive un grande SOS scoprendo la terra nera sotto la neve, pesca nelle buche tra i ghiacci, cerca di sopravvivere, esplora la zona cercando di individuare una via di fuga. Quando compare un elicottero che lo avvista, è in corso una tempesta di vento e il mezzo precipita vicino a lui nel tentativo di atterrare. Morto il pilota, l’uomo soccorre la copilota tailandese, ferita gravemente. Quando, dopo aver perso le speranze di essere raggiunto, decide di provare a muoversi verso nord, si porta dietro la quasi incosciente compagna di sventura. Un viaggio verso la salvezza tra orsi, neve, cadute e varie difficoltà. Un drammone senza eccessive pretese che regge, intrattiene ed emoziona, grazie anche a paesaggi sterminati e a Mikkelsen, mentre le musiche sottolineano forse un po’ troppo le fasi drammatiche.
Nicola Falcinella

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