Festival de Cannes. A metà percorso della 68.ma edizione

Se il concorso è sotto le aspettative, con i due film italiani passati finora, “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone e “Mia madre” di Nanni Moretti a spiccare insieme a “Carol” di Todd Haynes, è l’Asia a tenere e dalla sezione parallela Un certain regard a metà percorso del 68° Festival di Cannes., mentre domani è atteso “Youth – La giovinezza” di Paolo Sorrentino. Il premio Oscar completa il tris che ha messo il cinema italiano in vetrina, complice quella che non sembra una non grande annata oppure scelte discutibili della direzione artistica: cineasti come Arnaud Desplechin, Philippe Garrel e il portoghese Miguel Gomes sono andati alla Quinzaine des realisateurs per lasciare posto in gara a opere modeste. La sezione Un certain regard, considerata un concorso B, si conferma molto interessante: nel 2014 premiò “Forza maggiore” e “Il sale della Terra”, stavolta presenta titoli che avrebbero meritato di correre per i riconoscimenti maggiori. Dopo il giapponese “AN” di Naomi Kawase sono arrivati lo splendido “Cemetery of Splendour” del tailandese Apichatpong Weerasethakul e “Taklub – La trappola” del filippino Brillante Mendoza.

Il primo è uno che la Palma l’ha vinta nel 2010 con “Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti”. Stavolta porta un’altra pellicola intrisa di misticismo e di denuncia del governo militare, ambientaao dentro un’ex scuola diventata ospedale per soldati vittime di una strana malattia del sonno. Mentre intorno le ruspe scavano tra i ragazzini che giocano a pallone. Jenjira è una volontaria che assiste i ricoverati e si prende cura di Itt, allettato in un angolo dello stanzone senza che nessuno venga a visitarlo. Incontra Keng, una giovane che può mettersi in contatto con gli spiriti dei morti, e ne resta affascinata. Jenjira racconta del suo matrimonio con un soldato americano e prima ancora con un connazionale sempre in divisa. L’edificio sorge in un’area dove ci sono i resti dell’antico regno, nel nordest del Paese, e nel parco ci sono ruderi e statue (realizzate dallo stesso regista). I piani si confondono, i vivi e i morti convivono, appaiono ectoplasmi a forma di dirigibile nel cielo, la notte nella stanza appaiono spiriti luminosi che cambiano colore. Il cinema di Weerasethakul, visionario, poetico e spirituale, non segue logiche narrative o convenzionali, richiede allo spettatore di lasciarsi andare per condurlo in un mondo di sospensione e di meraviglia, dove la bellezza e i ricordi dolorosi sono inscindibili.

“Taklub” è invece il dodicesimo lungometraggio del prolifico Mendoza, già Palma per la miglior regia nel 2009 per “Kinatay”. Siamo a Tacloban, città sul mare devastata nel novembre 2013 dal tifone Hayan, qui si intrecciano le vite di varie persone che vivono in una zona non edificabile sulla spiaggia. Bebeth gestisce un piccolo chiosco aiutata dalla figlia Angela, l’unica scampata al disastro. Una donna dolce ed energica (come la nonna del bellissimo “Lola” in concorso a Venezia nel 2009) cerca di ritrovare i figli scomparsi nelle fosse comuni, ma raccoglie fondi per aiutare un vicino che ha perso la famiglia in un incendio. Una storia di sopravvivenza, di resistenza, di gente che non ha altro posto dove andare e non ha quasi nulla se non la fede: chi trova un crocifisso intatto sotto la sabbia, chi lo porta in processione nonostante una gamba dolorante, chi prega senza perdersi d’animo o va sull’acqua con i lumini. Piccole storie di donne e uomini che non si arrendono, nonostante una nuova tempesta e il rischio di uno tsunami, pescatori costretti a contendere al mare lo spazio da abitare. Il film si chiude con i versetti dell’Ecclesiaste: anche in un luogo disperante dove non ci si lascia andare ala disperazione c’è un tempo per tutto, per il dolore, per la vita e per solidarietà.

Nicola Falcinella

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