“Fiore” di Claudio Giovannesi: l’emozione di un amore dietro le sbarre

L’amore che può redimere o almeno offrire una nuova possibilità. È la speranza di “Fiore”, il bel film di Claudio Giovannesi presentato alla Quinzaine des realisateurs di Cannes. Una storia d’amore carceraria, vissuta da dietro le sbarre, ostacolata da mille difficoltà, protagonista un’adolescente romana, Daphne. Beccata in stazione a rubare telefonini, è reclusa nel carcere minorile di Casal del Marmo. Una struttura dove le femmine sono rigidamente separate dai maschi, tanto da non poter neanche scambiarsi lettere. Il film segue la protagonista da dicembre a primavera, mesi nei quali ha rapporti difficili e conflittuali con le altre ragazze e con le assistenti e le guardie. Ma durante i quali conosce un po’ per caso, durante l’ora d’aria, il quasi coetaneo Josh (Josciua Algeri). Un giovane innamorato e geloso di una fidanzata che non risponde più ai suoi messaggi e alle sue telefonate. Cercando di aiutarlo a ricontattare l’amata, la ragazza si innamora presto dell’altro recluso. Un sentimento che, complice una festa di Capodanno nella quale ballano insieme sulle note di “Maledetta primavera”, diventa ricambiato e mette i due nella situazione di dover superare le regole stringenti della prigione. Giovannesi, ormai più di una promessa del cinema italia, traccia la parabola emozionante e appassionata di un amore genuino e senza limiti, nonostante le sbarre e le limitazioni. Daphne Scoccia, la protagonista, è una rivelazione: intensa, pulita e profonda, con uno sguardo che dice tutto, ne esprime la rabbia e la dolcezza. La ragazza è sempre pronta a reagire e a esplodere, anche con le compagne di reclusione, insofferente alle regole e alle restizioni, finisce spesso in castigo. Daphne cerca un rapporto con il padre (Valerio Mastandrea ancora una volta giusto e in parte), da poco uscito a sua volta di prigione e impegnato a ricostruirsi una vita, anche nel rapporto con Stefania (Laura Vasiliu), una donna romena che ha un figlio. La forza di Giovannesi, che ha una sensibilità quasi unica nel nostro cinema per i giovani al confine tra adolescenza ed età più adulta, è stare addosso ai protagonisti, di lasciar girare la macchina da presa al ritmo del cuore anteponendolo allo stile e trovando in questo una sincerità di sguardo. Il terzo film del regista romano è, dopo il già buono “Alì ha gli occhi azzurri”, un passo avanti in un percorso incisivo nel raccontare i giovani e marginali, che siano di origine staniera o cresciuti in famiglie problematiche. E conferma la sua capacità di scegliere e dirigere interpreti non professionisti, accanto a Un ritratto di una generazione lasciata sola, senza sociologismi ma andando al fondo dei sentimenti e dei sogni, mostrata con conoscenza di causa. Il regista non fa denunce dirette, basta mostrare il rigido e assurdo sistema di divieti per evidenziare l’inutilità di queste strutture. Non servono nreanche troppe parole ai protagonisti, colti con delicatezza in momenti di grande intensità. Molto riuscita, per esempio, l’uscita di Daphne in permesso per la prima comunione del figlio di Stefania e sente di nuovo l’aria sul viso, vede il cielo, sente la libertà. “Fiore” non lascia indifferenti, tocca nel profondo e fa venir voglia di fuggire con i protagonisti.
Nicola Falcinella

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