Jim Jarmusch, Asghar Farhadi, i romeni Cristian Mungiu e Cristi Puiu. Ma anche Xavier Dolan, Andrea Arnold e Maren Ade possono puntare a un premio importante, senza tralasciare le incognite Paul Verhoeven e Olivier Assayas. È un pronostico aperto e incerto quello per la Palma d’oro del 69° Festival di Cannes che si chiude tra poche ore. Una buona edizione, con un livello medio della competizione abbastanza soddisfacente e pochi veri passi falsi, primo tra tutti “The Last Face” di Sean Penn.
L’ultimo giorno di proiezioni ha aggiunto ai premiabili il solido e implacabile nel suo meccanismo “The Salesman” dell’iraniano Asghar Farhadi, ma anche lo spiazzante “Elle” di Paul Verhoeven, con una Isabelle Huppert che dal suo infinito bagaglio attoriale riesce ancora a estrarre espressioni, gesti, tocchi, dettagli in grado di sorprendere e rendere indimenticabile un personaggio e, come dice il titolo, un film.
Nell’insieme è stato un festival al femminile, con tante storie di donne. Per questo, se sarà difficile assegnare la Palma d’oro, sarà ancora più difficile assegnare quella per la migliore attrice.
Un vero favorito non c’è, anche se “Paterson” di Jim Jarmusch. Una pellicola in apparenza minimale sulla quotidianità dell’amore, del lavoro e della poesia nella città del New Jersey che ha lo stesso nome del personaggio. Jarmusch sulla Croisette ha già vinto la Caméra d’or nel 1984 con “Stranger Than Paradise” e il Gran Prix nel 2005 con “Broken Flowers”.
Molto quotati sono i due romeni, Cristian Mungiu (già Palma per “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”) con “Bacalaureat – Graduation” e Cristi Puiu con “Sieranevada”, entrambe storie familiari di segreti e sorprese, penetranti e con regie molto elaborate.
Aria di premio anche per il tedesco “Toni Erdmann” di Maren Ade, una sorta di commedia che ruota intorno al rapporto tra un padre bizzarro e una figlia manager. Un film che ha emozionato, ma che certo non rientra tra i maggiori del regista scozzese, è “I, Daniel Blake” di Ken Loach che potrebbe trovare sostenitori in giuria.
Da non dimenticare “American Honey” road movie con giovanissimi in cerca di un senso dell’inglese Andrea Arnold ha parecchio diviso, ma ha anche entusiasmato parecchi: potrebbe giocarsi un premio alla straordinaria esordiente Sasha Lane (ma anche per un sorprendente Shia Labeouf) o per la regia.
Anche i francesi, vincitori un anno fa con “Deephan” di Jacques Audiard, hanno delle buone possibilità soprattutto con “Personal Shopper” di Olivier Assayas, beniamino dei cinefili che ha fatto un film su Kristen Stewart bellezza magnetica alle prese con i fantasmi, “Ma loute” di Bruno Dumont con i suoi personaggi bizzarri.
Tra le attrici è forse favorita la ritrovata Sonia Braga per il brasiliano “Aquarius” di Kleber Mendonca Filho: una scrittrice malata ma decisa, che non si arrende agli speculatori immobiliari. Tra gli attori i protagonisti di film romeni, l’iraniano Shahab Hosseini, Adam Driver “Paterson”, oppure il travolgente Peter Simonischek che è “Toni Erdmann” con tutte le sue follie.
“Julieta” di Pedro Almodovar, “Loving” di Jeff Nichols paiono fuori dai premi e probabilmente pure i fratelli Dardenne con “La fille inconnue”, in linea con la loro poetica e il loro senso umano, meno dirompente dei loro soliti lavori. Infine “Juste la fin du monde” di Xavier Dolan e “The Neon Demon” di Nicolas Winding Refn, due registi culto degli ultimi anni, che dividono a prescindere ma possono trovare uno spazio nella lista dei premiati.
Nicola Falcinella
Festival di Cannes: la volta buona di Jim Jarmusch?
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