A Ken Loach la Palma d’oro del 69° Festival di Cannes

Ken Loach ripete, dieci anni dopo “Il vento che accarezza l’erba”, il colpaccio e si aggiudica la Palma d’oro del 69° Festival di Cannes. Il suo film, “I, Daniel Blake” aveva emozionato per la sua genuina presa di posizione dalla parte degli esclusi, gli sfruttati e i lavoratori in generale: l’appello del protagonista al rispetto della dignità e del suo essere cittadino ha fatto presa anche sulla giuria. Il regista scozzese di “Terra e libertà” e molte altre opere vince con un lavoro che non è tra i suoi migliori. Anche se emoziona e regala alcune scene molto belle (soprattutto con i ragazzini), il film è piuttosto schematico, diviso tra buoni e cattivi e racconta dinamiche che negli ultimi anni sono cambiate. Loach sa far leva sui sentimenti e sul desiderio di giustizia sociale, ma forse il suo polso della situazione non è più quello di una volta. Una scelta probabilmente frutto di una divisione nella giuria presieduta da George Miller e che comprendeva tra gli altri Valeria Golino, Kirsten Dunst e Arnaud Desplechin.
Un po’ a sorpresa anche il Gran Prix a “Juste la fin du monde” di Xavier Dolan, molto commosso sul palco della premiazione. Il sesto film del regista canadese ventisettenne, ormai beniamino del festival francese, non ha entusiasmato i fan dell’enfant prodige ma ha convinto i giurati.
Doppio premio, miglior sceneggiatura e miglior attore Shahab Hosseini per “The Salesman” dell’iraniano Asghar Farhadi. Uno dei migliori film del concorso, che conferma il talento di Farhadi dopo “About Elly”, “Una separazione” e “Il passato”.
Per il premio di miglior regista è stato assegnato un ex equo al romeno Cristian Mungiu per “Bacalaureat – Graduation” e al francese Olivier Assayas per “Personal Shopper”. Due film molto diversi: il primo con la sua regia solida, i suoi dilemmi morali e le scene clou è un abbonato ai premi a Cannes, il secondo ha saputo creare intorno a Kristen Stewart una rischiosa, cinefila e raffinata storia di ricerca e di fantasmi con diversi momenti da ricordare.
Meritato, seppure inatteso, il premio della giuria “American Honey” di Andrea Arnold, che avrebbe potuto puntare anche a molto di più. La regista inglese ha osato con un on the road di giovanissimi ai margini sulle strade d’America seguendo una ragazza che prende in mano il suo destino, una delle tante eroine femminili del festival. Il premio di miglior attrice è andato alla brava Jaclyn Rose per “Ma’ Rosa” del filippino Brillante Ma Mendoza. Un riconoscimento al buon lavoro del regista, anche se non è tra i suoi lungometraggi migliori, perché tra le interpreti c’erano prove ancora più entusiasmanti: su tutte Isabelle Huppert per il dimenticato “Elle” di Paul Verhoeven e Sonia Braga per “Aquarius” della sorpresa brasiliana Kleber Mendonca Filho.
Il più grande dei dimenticati è “Paterson” di Jim Jarmusch che era dato tra i favoriti e non ha preso nulla. E se Jean-Pièrre Léaud ha ricevuto Palma d’onore per una carriera già leggendaria, l’esordiente Houda Benyamina ha vinto la Caméra d’or per “Divines”, film al femminile presentato nella Quinzaine des realisateurs.
Nicola Falcinella

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