A Cannes 72 la rabbia e il cuore di Ken Loach

Lo sfruttamento dei lavoratori, tema che gli è caro da sempre, ma anche un sistema che ci vuole acquirenti voraci e impazienti, pronti a ordinare in internet qualsiasi cosa e volerlo recapitato immediatamente. Sono gli ingredienti di “Sorry We Missed You” di Ken Loach, che ha animato la giornata di concorso a Cannes con un film molto imparentato con “Io, Daniel Blake”, che vinse la Palma d’oro. Siamo a Newcastle e Ricky e Abby hanno due figli adolescenti, l’irrequieto Seb e la più responsabile Liz. L’uomo ha cambiato molti lavori nel campo delle costruzioni e decide di prendere in franchaise un furgone per fare consegne. Per affrontare la caparra, deve vendere l’auto della moglie, che fa assistenza domiciliare a sei persone anziane o disabili nel circondario. Se la speranza è avere un reddito migliore per stare dietro alle tante spese, per Ricky è quasi l’inizio di un incubo: anziché un vero lavoro in proprio, si accorge presto che è peggio che essere dipendente. Stretto dai tempi contingentati per le consegne, che non permettono neppure una sosta in bagno (un collega più esperto gli consegna subito una bottiglietta per far fronte alle emergenze), finisce con il non aver più tempo per la famiglia e i rapporti ne subiscono le conseguenze, soprattutto Sebastian che attraversa una fase difficile. Il ragazzo è disilluso sullo studio: sta accantonando l’idea di frequentare l’università, che tanto sta a cuore ai genitori desiderosi di una sua ascesa sociale, e preferisce dipingere graffiti sui muri che frequentare le aule scolastiche. Loach sa come raccontare le ripercussioni di turni estenuanti sulla vita privata, che si trasforma in un incubo. È una storia di famiglia dove c’è spazio per tutti, anche se il centro sono i due genitori con le loro attività: anche nei servizi sociali le richieste sono stringenti e l’impegno è massacrante. È un meccanismo chiaro dall’inizio, quello congegnato dal regista, che però ha la capacità di costruirci una pellicola attenta a tutte le sfumature, compresa qualche risata e qualche riferimento calcistico (gli sfottò sono tra tifosi di Manchester United e Newcastle), con i quattro protagonisti ben costruiti nelle loro aspirazioni e nelle loro fatiche. Un bel film, che denuncia il sistema dei corrieri e dei trasporti (i riferimenti ad Amazon sono chiari), ma dovrebbe far pensare anche a chi ne usufruisce in maniera frequente e che diventa, con le sue esigenze o pretese, corresponsabile del meccanismo. Ken Loach con il suo realismo dal grande cuore riesce invece a non rendere meccanica la successione di stazioni della via crucis laica che capita ai protagonisti.
Buono nella giornata anche “Rocketman” di Dexter Fletcher, biografia “autorizzata” di Elton John (che è anche produttore). Un film celebrativo che non nasconde le zone d’ombra: tutto è costruito a partire dalle sedute di terapia per dipendenza da “alcol, droghe e sesso” del cantante inglese. La pellicola non può non far pensare a “Bohemian Rhapsody”, operazione molto simile, rispetto alla quale risulta più coeso, pur forse con meno sussulti.
Nicola Falcinella

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