“Quando 10 anni fa presentai “Una scomoda verità”, una delle sequenze più criticate fu quella animata nella quale mostravo che l’area del memorial di Ground Zero a New York poteva essere sommersa dalle acque a causa del cambiamento climatico”. Quella previsione degli scienziati si è avverata e Al Gore ne mostra le immagini. “An Inconvenient Sequel – Truth to Power”, con la regia stavolta di Bonni Cohen e Jon Shenk, è il ritorno al documentario di Al Gore, dopo “Una scomoda verità” di Davis Guggenheim premio Oscar come miglior documentario. Il film, dopo il Sundance è stato presentato fuori concorso al Festival di Cannes con la presenza del protagonista e degli autori. E sarà presentato in Italia al Biografilm Festival di Bologna in programma dal 9 al 19 giugno. Il Nobel per la pace 2007, ricevuto proprio per il suo impegno ambientalista, fa un bilancio della situazione un decennio dopo, partendo dalle critiche ricevute allora. Qualcosa si è mosso, ma lo stato del pianeta si è aggravato, il cambiamento climatico si è fatto più vistoso e dannoso. Gore viaggia per il mondo per rendersi conto di ciò che accade e tiene conferenze per sensibilizzare attivisti e non. In Groenlandia assiste al rapido arretrare dei ghiacciai, che crollano come se esplodessero e si sciolgono quasi a vista d’occhio. L’acqua che innalza il mare compare in Florida, una delle aree più a rischio di scomparire. Gore va a Miami e in Ocean Drive, una delle strade allagate dall’inondazione ha la battuta fin troppo facile, perché tra qualche anno sarà nell’oceano nonostante i lavori dell’amministrazione cittadina per rialzare, riparare e usare materiali che resistono alla corrosione salina. Altra città gravemente alluvionata e simbolo di questo cambiamento è Tacloban City nelle Filippine, colpita nel 2013 dal tifone Yolanda che causò migliaia di morti. Gore mostra grafici delle temperature medie, con un aumento delle giornate più calde della media storica. Le piogge si concentrano in poche ore, con effetti calamitosi e il cambiamento accentua la siccità e la possibilità di incendi in tante zone del pianeta. L’ex politico ricorda la gravissima siccità che ha interessato la Siria tra il 2006 e il 2010, prima dell’inizio della guerra, con la perdita di raccolti e capi di bestiame e due milioni profughi, la cui situazione si è ulteriormente aggravata con i combattimenti. Negli anni è aumentata la coscienza di molti cittadini e non solo, con l’aumento della potenza installata di energia solare molto superiore alle previsioni di inizio secolo e la diffusione anche di impianti eolici. La questione principale riguarda i Paesi in via di sviluppo e soprattutto l’India, il cui sviluppo richiede tanta energia a basso costo, più facile da ottenere da fonti fossili. Lo spiega nel suo intervento alla Conferenza di Parigi del dicembre 2015 il premier indiano Narendra Modi: l’occidente ha utilizzato l’energia di cambone e petrolio per 150 anni e ora è diritto anche dei cittadini del subcontinente, un quarto dei quali (300 milioni su 1250) non ha accesso all’energia. Gore e gli americani riusciranno ad ammorbidire la posizione indiana e far approvare l’accordo finale della Cop21 offrendo tecnologia per l’energia solare. Gli viene in aiuto la coincidenza con l’alluvione che ha colpito la città di Chennai (in precedenza chiamata Madras) proprio durante conferenza. La parte parigina del documentario è abbastanza ampia, dai lavori preparatori, compresa la sera degli attentati del 13 novembre, alle discussioni e agli incontri, come con il canadese Trudeau. Un passaggio curioso è nel recarsi alle sedute: bloccato nel traffico, Gore decide di prendere la metropolitana, ma per una volta lo si vede leggermente in affanno, forse non abituato a utilizzare il trasporto pubblico. L’ex vicepresidente (ma tutti lo chiamano Presidente), ricorda di frequentare le conferenze sul clima dal 1992, ma l’ottimismo di Rio è ormai lontano. Per lui è un impegno irrinunciabile, come quelli per i diritti civili, lo definisce un “movimento morale”, riguarda tutti, c’è una parte giusta e una sbagliata. E da quella sbagliata per lui ci sono il Presidente Trump (il documentario arriva alle settimane successive alla sua elezione), che minimizza il problema e sta con chi finanzia campagne per difendere combustibili e modalità inquinanti, e George W. Bush. Colui che lo sconfisse nel 2000 con l’aiuto della discussa sentenza della Corte Suprema, stavolta compare solo brevemente, con tante responsabilità per aver fatto poco. Gore parla poco dell’amministrazione Obama, se non per apprezzarne e lodarne intenzioni e messaggio e per la vicinanza e collaborazione soprattutto con l’ex vicepresidente John Kerry. Il protagonista rinnova l’appello al risparmio energetico, all’efficienza, alle scelte consapevoli e quindi alla conoscenza seria. Prima del finale spaziale, con il lancio del satellite Discover incaricato di fotografare la Terra e tenerci sotto controllo da distante, c’è spazio per la poesia e una citazione da Wallace Stevens per invitare a non arrendersi mai: “after the last No comes a Yes” (dopo l’ultimo No, arriva un Sì). Rispetto a “Una scomoda verità” il tono si è fatto più accorato e preoccupato, il racconto è meno personale, emerge meno l’uomo, anche se la sua figura è molto presente. È un ritorno sui temi per aggiornarli e lanciare un allarme che ora è ancora più sotto gli occhi di chi vuol vedere. Peccato che alla proiezione stampa di Cannes la sala fosse semivuota, forse più che l’amministrazione Trump e gli interessi delle grandi società degli idrocarburi è forse ancora il troppo basso interesse generale il pericolo maggiore per il pianeta.
Nicola Falcinella
Un sequel scomodo: il nuovo, accorato documentario con Al Gore sul cambiamento climatico
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