TRENTO FILM FESTIVAL 2015

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A un film del Lesotho la Genziana d’oro come miglior film del dal 63° Trento Film Festival. “Coming of Age” di Teboho Edkins racconta, nell’arco di due anni, quattro adolescenti che vivono nel villaggio di Ha Sekake tra le montagne del piccolo stato sudafricano. I fratelli Retabile e Mosaku, fanno i pastori del gregge di famiglia, ma solo uno di loro stia. Lefa e Senate sono compagne di classe e migliori amiche, la seconda supera un test e viene ammessa in una scuola superiore nella capitale Maseru. Un film di paesaggi splendidi e aspri, di fatiche, di sogni, di nonne che incitano a studiare, di ragazzi volenteriosi con sogni piccoli e grandi. Un’adolescenza verso l’età adulta, segnata dal passaggio attraverso i tradizionali riti iniziatici per i ragazzi. Un film che lascia parlare i ragazzi, su un’Africa lontana dai riflettori, povera, dignitosa e vitale.

Un’edizione dal bilancio positivo, che ha presentato 115 titoli complessivi suddivisi in nove sezioni e provenienti da tutto il pianeta.

Genziana d’oro come miglior film di esplorazione o avventura all’americano “Valley Uprising” di di Nick Rosen, Peter Mortimer e Josh Lowell, appassionante e ricca di testimonianze, storia dell’alpinismo nel mitico parco di Yosemite. Dagli anni ’50 a oggi, l’arrampicata che rompe gli schemi tradizionali, diventa spazio di libertà, crea un’oasi per gli hippies, si scontra con le strutture del parco e poi diventa sport e competizione. Un documentario tra aneddoti e curiosità.

Per l’alpinismo, la Genziana d’oro è stata assegnata a “Ninì” di Gigi Giustiniani, che ricostruisce, attraverso le immagini filmate e scattate dai genitori ritrovate dal figlio Lorenzo, la parabola umana, sportive, esistenziale e sentimentale di Gabriele Boccalatte e Ninì Pietrasanta. Due giovani di famiglia agiata che si incontrarono nel 1932 scalando nel gruppo del Monte Bianco, superarono tante pareti insieme, in Valle d’Aosta e sulle Dolomiti, si sposarono nel 1936, finché due anni dopo l’uomo cadde durante una scalata e morì. Un film costruito non in maniera impeccabile ma con alcuni momenti molto emozionanti.

Genziana d’argento di miglior cortometraggio a “Houses with Small Windows” del turco Bülent Öztürk. Un episodio della giovinezza della madre del regista è lo spunto per raccontare, con poche parole, storie di crudeltà e di rapporto con le tradizioni in Kurdistan. Una riflessione di grande forza sul ruolo della donna, relegata a una posizione subalterna, uccisa o costretta a subire le decisioni altrui e fuggire. Donne accusate di adulterio in una piccola comunità. Alcune inquadrature esemplari, come l’uccisione fuori campo di una delle condannate in mezzo alle colline, dicono molto sull’ingiusta e inutile spietatezza degli uomini.

Altre genziane d’argento al portoghese “Volta a terra” di Joao Pedro Placido e “Resuns” di Aline Suter e Céline Carridroit, il primo tra le montagne del nord del Portogallo, il secondo in una delle poche valli della Svizzera dove si parla il romancio. Nel piccolo villaggio di Uz, spopolato dall’emigrazione, il giovane David è orgoglioso del suo lavoro di allevatore in un angolo di mondo dove i ritmi sono ancora quelli ciclici delle stagioni e dei lavori in campagna. A una festa ritrova una vecchia compagna di scuola e nella sua vita compare la possibilità di cambiare qualcosa. Il film che è osservazione, ascolto e partecipazione, con la capacità di cogliere una storia normale che così comune non è.

“Resuns” è il ritorno di una donna originaria del Canton Grigioni per recuperare il proprio legame con una lingua (una delle quattro ufficiali della Confederazione elvetica) che sta scomparendo: un segno di legame alle origini, a una cultura contadina. Un modo di vedere le cose caratteristico del luogo, come i tanti nomi usati per indicare le campane stanno a dimostrare, che ha la sua essenza nel linguaggio.

Infine premio della giuria è andato all’americano “DamNation” di di Ben Knight e Travis Rummel, che racconta l’entusiasmo di gruppi di persone che si battono per rimuovere dighe costruite sui fiumi oltre un secolo fa e vogliono restituire agli alvei il loro corso naturale.

Il palmares ha rispecchiato abbastanza bene il meglio del concorso. Avrebbe meritato qualcosa anche l’olandese “Nowhere Place” di Susanne Opstal, che tenta accostamenti arditi ma non fuori luogo. Un uomo che si è candidato, e ha superato la prima selezione, per una missione su Marte senza ritorno. Un alpinista che ha condotto diverse spedizioni in Himalaya. Accumunati dalla voglia di andare oltre i limiti, da un desiderio di eternità. Tra le loro parole i diari dei due assassini della scuola di Columbine (il massacro portato al cinema da Gus Van Sant e da Michael Moore), che esprimevano i loro deliranti “Voglio essere il Dio del tutto”. Un film interessante e ricco di spunti sull’uomo davanti alla natura e all’immensità dello spazio, ma anche alle prese con l’insondabilità della sua mente.

 

Nicola Falcinella

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