Di Pablo Larrain
Articolo di Umberto Soncina
In uno sperduto paesino sulla costa cilena, vivono ritirati in una casa di penitenza un gruppo di preti colpevoli di abusi commessi durante i loro anni di sacerdozio. Con la supervisione di una suora passano le giornate ad allevare un levriero da corsa sul quale scommettono e che sperano di portare un giorno a competizioni nazionali, ma all’arrivo di un nuovo prete il loro isolamento finisce drammaticamente. Un suicidio e la conseguente indagine interna porteranno alla luce le loro gravi colpe e riporteranno un ordine nel club.
Larrain è regista impegnato da sempre a indagare e denunciare le pagine più buie della storia cilena, lo ha fatto lucidamente facendosi notare in tutto il mondo con la sua trilogia sulla dittatura di Pinochet, e con “El club” (film presentato in concorso al 65° festival di Berlino) passa oggi ad occuparsi, con la stessa vena ironica, sottile e nerissima che contraddistingue forse più di altre caratteristiche il suo stile, dell’odioso problema della pedofilia e in generale della malversazione cancri di certi ambienti cattolici. Sullo sfondo di La Boca, cittadina cilena anche amena sospesa tra terra e oceano, trasfigurata dalla fotografia effettata in stile Tarkovskij (il film è girato in digitale con ottiche russe proprio a volerne ricalcare gli allucinati paesaggi), si svolge la vicenda di un manipolo di impenitenti ex curati. Sono i componenti del club, cattivi fino al midollo, isolati non solo dal resto del mondo ma soprattutto da loro stessi e resi ancor più mostruosi dal susseguirsi dei primi piani o delle inquadrature dal basso a loro riservate. Mentono sistematicamente, nascondo i loro vizi e si auto commiserano per i loro delitti, vivono in una nicchia di cui sono complici e sono emblemi dei peggiori atteggiamenti della chiesa cattolica, la stessa chiesa che teme il giudizio della giustizia laica che si nasconde dietro i processi religiosi e che è reticente in maniera oscura ad individuare chi abusa e chi offende. Ma sarà ironicamente proprio l’agnello sacrificale a dare loro l’ultima speranza di redenzione a cui stavolta non potranno più sottrarsi.