Definirlo il “decano” dei critici cinematografici sembra forse allontanarlo da noi. Callisto Cosulich, nato a Trieste il 7 luglio 1922 e morto a Roma ieri, era il più anziano o il più longevo. Attivo fin quasi alla fine, con una carriera di quasi 70 anni, come il milanese Morando Morandini, di soli due anni più giovane.
Cosulich era con Tullio Kezich il nome di punta della scuola triestina della critica nata nell’immediato secondo dopoguerra nel fermento culturale di una città di frontiera e allora contesa. Due figli della borghesia cittadina che si appassionarono ben presto al cinema: uno per molti anni il più giovane accreditato alla Mostra di Venezia; l’altro partito per studiare ingegneria navale a Genova e tornato con l’iscrizione al Cineguf e un servizio militare in marina impiegato anche a organizzare proiezioni cinematografiche a bordo di un incrociatore. Si ritrovarono nella città natale a organizzare rassegne con la sezione cinematografica del Circolo della cultura e delle arti di Trieste e poi con la fondazione della Federazione italiana circoli del cinema (Ficc). E debuttano presto nella critica: dal 1948 Cosulich diventa titolare della rubrica per Il Giornale di Trieste (nome assunto dal quotidiano Il Piccolo in quegli anni). Nell’autunno 1949 parteciparono entrambi alle riprese, sul Carso triestino, di “Cuori senza frontiere” di Luigi Zampa con Gina Lollobrigida e Raf Vallone: Cosulich nei panni di un ufficiale sovietico, Kezich di un soldato jugoslavo, oltre che come assistente di produzione.
Trasferitosi a Roma nel 1951 come segretario Ficc, Cosulich ricoprì vari ruoli, gestore del cinema d’essai Quirinetta, curatore di cicli in tv, organizzatore instancabile di rassegne e festival, membro di numerose commissioni ministeriali sul cinema. Senza mai dimenticare l’attività critica su tante testate: Bianco e Nero, Cinema Nuovo, La Rivista del Cinematografo, Paese sera, ABC, Avvenimenti fino a Left, Film TV e Cinecittà News. Appassionato di generi (soprattutto horror), sdoganatore di film e cineasti poco amati o capiti dalla critica ufficiale, dotato di grande intuito nell’interpretare ciò che accadeva, Cosulich è stato anche sceneggiatore per “Terrore nello spazio” (1965) di Mario Bava. Tra le sue tante pubblicazioni, da ricordare il fondamentale “Hollywood Settanta: il nuovo volto del cinema americano” (1978, Vallecchi), pure in questo caso uno dei primi a capire e divulgare l’importanza della New Hollywood e dei cambiamenti epocali che stavano avvenendo nel cinema americano.
Un grande appassionato di cinema che ha lavorato, guardato film e scritto fino alla fine, un signore d’altri tempi, sempre pronto ad affabulare, a raccontare aneddoti, a condividere la propria passione con tutti. Un talento precoce che non si è mai fermato o accontentato, che è restato curioso fino all’ultimo.
Cosulich ha avuto la fortuna di vivere e raccontare l’epoca del Neorealismo e dell’arrivo in Italia dei grandi film americani dell’età dell’oro (quelli restati bloccati per il conflitto), un’epoca nella quale la critica aveva un peso nel dibattito culturale ed era più facile diventare una firma di testate importanti. Va detto che è una fortuna che si è meritato, che non ha usato come rendita di posizione, ma per essere interprete delle epoche che ha vissuto. Libertà intellettuale, rispetto del lettore, piacevolezza della lettura e ricchezza delle argomentazioni sono state alcune delle sue qualità migliori.
Più che un decano, era davvero un maestro.
A lui e al suo lavoro sono stati dedicati due libri: “Il cinema secondo Cosulich. Scritti di Callisto Cosulich sul «Giornale di Trieste» (1948-1953)” curato da Roy Menarini per Transmedia nel 2005 e “Il coraggio della cinefilia. Scrittura e impegno nell’opera di Callisto Cosulich” curato da Elisa Grando e Massimiliano Spanu per Eut nel 2012.
Nicola Falcinella