MAPS TO THE STAR

 

Articolo di Nicola Falcinell

È un film di fuoco, acqua e psicofarmaci, “Maps to the Stars” di David Cronenberg. Dove il fuoco sta anche nell’acqua e gli psicofarmaci si assumono con la birra. Una storia dove muoiono i bambini e si ride dei vizi e delle bizze dei divi. Dove tutti hanno perso un pezzo di sé, ma ancora si ostinano a inseguire obiettivi effimeri, a rispondere con le illusioni o il cinismo alle richieste d’aiuto. Non può essere liquidato come l’ennesimo ritratto impietoso del mondo di Hollywood, il lavoro del regista canadese, che ha regalato a Julianne Moore la Palma di miglior attrice a Cannes. La giovane Agatha (Mia Wasikowska), che porta evidenti sul viso e sul collo le cicatrici delle ustioni e indossa sempre lunghi guanti che le coprono le braccia, arriva con un bus dalla Florida. Ad attenderla c’è la limuosine che ha prenotato per essere portata in giro per la città. Vuole seguire la mappa delle stelle del cinema e al conducente, l’aspirante attore e sceneggiatore Jerome (Robert Pattinson), chiede informazioni sulle celebrità. La ragazza ha stabilito in internet un contatto con l’attrice Carrie Fisher e la vuole raggiungere, ma sembra che già conosca Hollywood. Si fa portare sotto la grande scritta, dove c’era la casa, poi distrutta da un incendio, del tredicenne divo Benji Weiss, celebre per la serie “Babysitter” e in trattativa per la seconda stagione. Il padre del ragazzo, Stafford (John Cusak), è una sorta di santone che vede ciò che accadrà, ha una rubrica in tv e ha in cura Havana Segrand (la Moore). Quest’ultima è attrice di mezz’età in crisi e desiderosa di interpretare la parte che aveva dato la celebrità a sua madre nel remake di “Stolen Waters”. I personaggi sono meno distanti tra loro di quanto non appaia e piano piano il cerchio si stringe e la tragedia compare.
Un ambiente dove si fa di tutto per ottenere una parte, dove quasi non si lasciano raffreddare i cadaveri, si vedono nemici ovunque ma si salvano le apparenze sorridendosi o mostrandosi contenti per i successi altrui. Cronenberg impasta con tanto ghiaccio i generi, dalla commedia al thriller all’horror psicologico, e realizza un quadro gelido dell’ambiente del cinema. Una storia anche di fantasmi e con marcate componenti incestuose, dove il passato comunque torna a galla e non si riesce a liberarsene. Mentre la poesia “Libertà” di Paul Eluard ritorna quasi ossessiva a marcare il contrasto tra i suoi versi e la realtà che si vede. Non si salva quasi nessuno, dalle giovanissime star che abusano di alcol e droga e sfuggono a qualsiasi controllo, alle ragazzine che dicono che una ragazza di 23 anni è “in menopausa”. Le musiche di Howard Shore contribuiscono a creare un’atmosfera di tensione e a raffreddare anche nei momenti in apparenza più leggeri. Anche le risate si smorzano e le tanto ambite statuette non possono che essere utilizzate per uccidere.
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